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SCOZIA: tempo di indipendenza?

Scozia referendum indipendenza 2014

Gli elettori della Scozia potranno decidere un futuro lontano dalla Corona Britannica. Prevarrà un YES coraggioso o un NO “da sudditi”?

[Articolo pubblicato in data 18/09/2014 su ilcosmopolitico.it]

«La Scozia dovrebbe essere un Paese indipendente?» Petrolio, valuta, whisky, frontiere, esercito, sottomarini nucleari Trident, autonomia fiscale e legislativa, integrità di immagine dell’Impero Britannico, ecco la posta in gioco del referendum per l’indipendenza della Scozia (che da oltre 300 anni  sta all’interno del Regno Unito), che si terrà tra poche ore in questo 18 settembre e che cambierà, in un modo o in un altro, le sorti della Gran Bretagna. I temi che emergono da questa storia di democrazia sono: autodeterminazione, identità nazionali, regionalismi, minoranze etniche, confini.

La Scozia, con il suo carattere forte  e il suo DNA celtico, a poche ore dal voto, è divisa tra 007 e Harry Potter.

I sondaggi sono altalenanti,  non sciolgono la suspence e continuano a dare i “sì” e i “no” distanziati di pochissimo. I cosiddetti indecisi stanno sciogliendo la loro riserva, e nessuno sa in che direzione: secessionisti o unionisti. Qualcuno che è a favore dello status quo, rievoca quanto nel 1995 avvenne in Quebec, dove gli elettori sembra abbiano avuto ripensamenti nelle cabine elettorali optando contro l’indipendenza; non è escluso, poi, che gli elettori siano stati riluttanti nel dire No ai sondaggisti per paura di essere tacciati non patriottici. Ma potrebbe essere vero anche il contrario. L’età può fare la differenza: i giovani sono più entusiasti per l’indipendenza rispetto agli anziani, soprattutto i sedicenni che sono ammessi ad esercitare il diritto di voto. Una cosa è certa, che l’affluenza sarà altissima, forse superiore all’80% (pari a circa 3,4 milioni di persone): molti, moltissimi scozzesi hanno voglia di dire la loro.

C’è una convinzione generale – condivisibile o meno – che una Scozia indipendente, che corra con la proprie gambe, sarebbe in grado di condurre una politica più equa, in grado di perseguire l’armonia sociale e la lotta contro la disuguaglianza. Non a caso la campagna per il Yes in Scozia punta su temi progressisti: ad esempio la salvaguardia del Welfare (in primis sanità) contro i tagli di Cameron.

Basterebbe ricordare al riguardo una dichiarazione di John Swinney, uno dei pezzi grossi dello Scottish National Party,  che ha fatto al Guardian pochi giorni fa per riassumere le ragioni degli indipendentisti: Penso che faremo un lavoro migliore governandoci da soli invece che subire decisioni prese dal governo britannico”

Chi si è imbattuto in qualche stand a Glasgow (principale porto scozzese) per la propaganda del secessionismo scozzese, ha potuto non solo cogliere la passione che anima i ragazzi di Yes Scotland, ma letto sui volantini un messaggio del futuro della Scozia indipendente piuttosto roseo: paghe più alte e contratti più giusti per i lavoratori, più soldi nelle tasche dei cittadini, più servizi pubblici, un senso di comunità più forte, energia rinnovabile ed un nuovo sistema pensionistico. E’ la Norvegia il modello di ispirazione della futura Scozia indipendente, soprattutto sul piano del welfare.

Le ragioni di una Scozia indipendente

C’è la convinzione: di voler uscire dai fantasmi della deindustrializzazione degli anni Ottanta; di utilizzare i proventi del petrolio anche per alleviare il disagio dei fuoriusciti dalle miniere e dalle industrie pesanti, problema a cui Londra sembra non aver dato risposte esaustive, risolvibile invece solo allorquando la Scozia avrà in mano, grazie all’indipendenza, le industrie di petrolio; di sottrarre potere a Westminster che prende troppe decisioni sugli scozzesi (va ricordato al riguardo che la Scozia a seguito dei referendum sulla devoluzione nel 1997, ha ottenuto un proprio Parlamento con competenze d’interesse locale, mentre su certe materie come quelle fiscali, sistema di sicurezza sociale, la difesa, le relazioni internazionali, le comunicazioni,  la competenza spetta al Parlamento del Regno Unito); di creare una vera copertura di rete internet super veloce nelle aree rurali; di realizzare strade e ferrovie degne di nota; di contenere le politiche di taglio della spesa, improntate ad una politica dell’austerity, che sono state molto forti a Edimburgo, più che nel resto del Regno Unito; di tornare ad essere protagonisti nella  propria terra e non ai confini dell’Impero.

Insomma, gli scozzesi indipendentisti vogliono riprendere dopo 307 anni dell’ Atto di Unione, il timone del loro destino e costruirsi un futuro diverso, sentirsi cittadini del mondo, dentro o fuori l’Unione Europea, ovviamente con tutti i rischi che questa scelta comporterà.

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La possibilità che la Scozia possa svegliarsi il 19 settembre 2014 indipendente ha fatto venire i brividi sia alla Regina Elisabetta II che al premier David Cameron.

Domenica scorsa, la Regina Elisabetta II che aspira naturalmente  a mantenere unito il suo regno, di fronte alla chiesa di Crathie  Kirk, appena dopo la consueta funzione domenicale, alla folla presente ha detto con garbo “Spero che la gente (in Scozia) penserà con molta attenzione al futuro”: Questo è quanto riferisce il Times. La Regina rompe il silenzio ed entra nel dibattito acceso sul referendum scozzese, pur se un portavoce di Buckingham Palace dice che sono “conversazioni private”, visto che la sovrana è imparziale su questo argomento e spetta solo al popolo  di Scozia decidere.

Mentre il premier David Cameron, insieme ai leader degli altri due principali partiti britannici, il laburista Miliband e il liberal-democratico Clegg, entrambi contrari all’indipendenza scozzese, si sono impegnati a riconoscere maggiori poteri alla Scozia nel caso di vittoria del “No” al referendum sull’indipendenza. L’impegno è in prima pagina sul quotidiano scozzese Daily Record. I leader promettono “vasti poteri” per il parlamento scozzese, “condivisione delle risorse in maniera equa“, sanità controllata dal governo scozzese. Elencate le promesse dell’ultima ora dei poteri forti che hanno tanta paura del “sì”, vediamo che cosa succede in caso di vittoria in attesa che si aprano i seggi scozzesi. Se vincerà il “sì”, la Scozia sarà indipendente solo dal 2016 e probabilmente il 24 marzo, ossia esattamente 309 anni dopo la firma dell’Atto di Unione con l’Inghilterra, nel 1707. I 18 mesi saranno necessari per delineare il futuro assetto costituzionale della Scozia e per negoziare il rapporto con il Regno Unito e con le organizzazioni internazionali, tra cui UE. Si apriranno scenari politici, costituzionali ed economici tutt’altro che semplici. Ci potrà essere un probabile crollo dell’economia, crisi costituzionale e un nuovo ruolo da definire all’interno dell’ONU e UE.
La stessa Casa Bianca è preoccupata per questo referendum.

Le conseguenze di una possibile vittoria indipendentista

Elisabetta sarà ancora regina di Scozia? Due le ipotesi. La prima che vede Elisabetta rimanere sovrana di Scozia. La Seconda in cui gli scozzesi rinunciano alla monarchia, danno vita ad una crisi costituzionale e optando per una repubblica sul modello di quella irlandese.

Che valuta userà la Scozia? Edimburgo  preme per continuare a usare la sterlina, Londra è nettamente contraria, un po’ per non offrire sponde agli indipendentisti, un po’ per non pagare i costi dell’instabilità successiva all’indipendenza scozzese. Al riguardo ci sono due illustri economisti, Paul Krugman e Paul de Grauwe, che hanno messo in guardia circa i pericoli di avere unione monetaria senza unione fiscale. Poi quando il futuro governo scozzese emetterà obbligazioni, lo farà in sterline. Ma su questa valuta il governo scozzese, come scrive l’Economist, non avrà alcun controllo. Ai fini pratici la sterlina sarà come una valuta straniera per il governo scozzese. Ciò significa che il governo non sarà in grado di fornire alcuna garanzia  ai suoi obbligazionisti perché manca una Banca centrale, che in tempi di crisi può essere costretta a fornire  liquidità, né tantomeno in caso di crisi si potrà costringere la Banca d’Inghilterra a fornire supporto. Di conseguenza il potere della Scozia come nazione sovrana sarà limitato. Resta l’ipotesi in cui la Scozia indipendente, che ha scelto di mantenere la sterlina, vada a negoziare le condizioni in base alle quali potrà ottenere il sostegno della Banca d’Inghilterra in tempo di crisi. Anche se tutto questo comporterà il rispetto di norme di bilancio dettate da Westminster. Non va dimenticato che le maggiori banche scozzesi hanno dichiarato che trasferiranno la loro sede legale da Edimburgo a Londra se i “sì” otterranno la maggioranza, e questo solo per poter continuare a contare  sulla Banca d’Inghilterra come prestatrice di ultima istanza. La Scozia rimarrebbe senza il controllo della sua valuta e senza i benefici dell’appartenenza all’euro. La soluzione potrebbe essere quella di accumulare enormi riserve monetarie necessarie per  poter utilizzare e difendere la sterlina britannica. E come se non bastasse una Scozia indipendente dovrà dimostrare ai mercati obbligazionari le sue credenziali, che significherà pagare tassi di interessi più elevati per il futuro.
Altre ipotesi di valuta sono: adottare l’euro o  una valuta propria. Nella prima ipotesi, la Scozia si ritroverebbe a dover  rispettare un sistema di controlli e rigidità più stringenti di quelli adottati dalla Banca d’Inghilterra. Nell’ ipotesi di adottare una valuta propria si avrebbe una moneta debole e esposta alla facile speculazione.

Altra questione centrale sarà la ripartizione del debito pubblico. Secondo le stime del National Institute of Economic and Social Research quello scozzese ammonterebbe a circa 143 miliardi di sterline, a fronte dei 1700 del debito britannico complessivo. Tali cifre, come base di partenza dovrebbero essere poi ridisegnate in base agli accordi tra Cameron e Saldon, primo ministro scozzese e promotore del referendum. Andrebbero ridiscussi i confini e le frontiere tra Scozia e Inghilterra, per affrontare tematiche come l’immigrazione e l’eventuale necessità di passaporto.

A chi andrà il petrolio del Mare del Nord? In caso di indipendenza, alla Scozia andrebbe il 91% dei ricavi derivanti dalla vendita dell’oro nero. Questa è una parte cruciale della causa dell’indipendenza. Naturalmente i proventi del petrolio sono molto variabili, e  uno nuovo stato come la Scozia, può prendere decisioni di spesa a lungo termine sulla base di tale variabilità ? La controversia è se vi è abbondanza di petrolio che può essere sfruttata economicamente. C’è chi dice che durerà al massimo fino al 2014, chi , ancora sostiene che circa 100 nuovi giacimenti debbano ancora essere scoperti. Un dato è certo che negli ultimi anni i ricavi sono crollati, sia a causa dell’andamento dei prezzo del petrolio, in discesa, sia in relazione ad alcune chiusure impreviste. In ogni caso i ricavi petroliferi nel 2017-2018 dovrebbero assestarsi attorno ai 3,5 miliardi di sterline. Il problema principale per gli scozzesi – ed è anche su questo che puntano gli indipendentisti – è che solo una minima parte dei proventi del petrolio va a finanziare il welfare e lo stato sociale di quest’area.

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La produzione di whisky che risvolti avrà? Con una Scozia almeno temporaneamente al di fuori dell’Unione europea, verrebbero meno quelle agevolazioni fiscali fra paesi importatori di whisky e UE. Un’industria che porta alla Scozia 4,3 miliardi di sterline all’anno e dà lavoro a 35mila dipendenti. Non a caso nelle ultime settimane le aziende produttrici si sono ribellate all’idea dell’indipendenza. Il mercato del whisky è al 90% internazionale: soprattutto India, Stati Uniti e altri paesi che hanno avuto legami con l’Impero Britannico. Ancora, si teme che l’uscita dalla sterlina possa far aumentare il prezzo alla produzione, anche perché gran parte dei cereali arrivano proprio dall’Unione europea.

La Scozia avrà un esercito? Certo, ma sarà un esercito leggero che si baserà su una base navale, una base aerea e una brigata mobile. Il costo dovrebbe aggirarsi attorno all’1,5% del PIL, contro il contributo del 3,3% del PIL che la Scozia dà all’esercito britannico.  Il problema più spinoso resta quello che il 30% dei soldati britannici son nati in Scozia.
Per quanto concerne i sottomarini nucleari Trident dell’esercito britannico, ormeggiati in Scozia, secondo il ministro Salmond dovrebbero andare via. Tale rilocalizzazione  comporterebbe innumerevoli complicazioni logistiche, spese spaventose dell’ordine di decine di miliardi di sterline, oltre che seri problemi di strategia di deterrenza nucleare  della seconda potenza militare dell’alleanza.

Sulla questione sanità e pensioni in Scozia, il ministro Salmond sembra avere le idee chiare. Se fino ad ora, i costi sanitari e pensionistici erano in buona parte coperti dai trasferimenti provenienti da Londra, domani toccherà a Edimburgo. Ma in che modo? Attraverso un fondo sovrano che investe sui mercati finanziari e che pagherebbe sanità e pensioni.

Le conseguenze del “sì” per l’Inghilterra sarebbero un autentico terremoto istituzionale, politico, economico e mediatico. Il principale bersaglio sarebbe il premier David Cameron, già alle prese con una guerra contro l’ISIS che si annuncia lunga e difficile, e  il problema dell’arruolamento di cittadini inglesi tra le fila degli estremisti islamici. Secondo il parere di molti esperti, si assisterà a un crollo della sterlina e dei mercati già a partire dalle prime ore successive a un’eventuale indipendenza. In questo caso la Banca d’Inghilterra  sarebbe costretta a intervenire per evitare una probabile recessione e altri danni sistemici all’economia.

A poche ore dall’apertura dei seggi elettorali, gli scozzesi sapranno votare con il cuore e la mente.

Comunque vada si è aperta una nuova stagione di indipendenza!

 

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