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Guerra Ucraina-Russia, due anni, anzi, dieci anni dopo

Guerra Ucraina-Russia, due anni, anzi, dieci anni dopo – ilcosmopolitico.com

L’assassinio di oltre 100 manifestanti a Maidan, nel 2014, dà inizio all’attuale guerra in Ucraina, che assume i contorni di un conflitto tra  modelli di liberaldemocrazia e autocrazia, ma anche quelli di una guerra culturale per cancellare l’identità nazionale dell’Ucraina e di una guerra Santa secondo il patriarca Kirill.
Putin, che resterà al Cremlino fino al 2030 dopo un plebiscito alle Presidenziali 2024, è riuscito a mantenere in piedi l’economia russa nonostante le sanzioni occidentali, pur trasformandola in un’economia di guerra e Cina-dipendente, agita costantemente sullo sfondo lo spettro di una guerra nucleare

  • 10 anni di guerra in Ucraina
  • La resistenza e le sofferenze degli ucraini
  • Scontro di civiltà secondo Dugin, il Rasputin putiniano
  • Scontro tra liberaldemocrazia e autocrazia
  • Guerra culturale tra Russia e Ucraina
  • L’invasione dell’Ucraina, secondo Kirill, è una “Guerra Santa” contro l’Occidente
  • Indottrinamento patriottico anti-Occidente a Scuola
  • La Russia fu tagliata fuori dal Rinascimento europeo
  • A chi crede che Putin sia un pazzo risponde un ex deputato della Duma
  • Lo spettro della guerra nucleare
  • Dalla Rivoluzione di Maidan al 24 febbraio 2022
  • La guerra nel Donbass
  • Lo scenario geopolitico prima del 24 febbraio 2022
  • 24 febbraio 2022, Putin invade l’Ucraina: avvio operazione militare speciale
  • I numeri degli ultimi due anni di guerra in Ucraina. Morti e feriti di guerra
  • L’esodo dall’Ucraina
  • Le sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia
  • Gli aiuti economici
  • L’impatto internazionale
  • Le spese militari e allargamento NATO
  • Stallo sul campo di battaglia e nessuna pace all’orizzonte
  • Prospettive e Presidenziali russe 2024

10 anni di guerra in Ucraina

Il 24 febbraio 2024 nel mondo si è commemorato il secondo anniversario dell’aggressione russa dell’Ucraina. In realtà in quella data, in cui Putin dava il via all’operazione militare speciale (in violazione del diritto internazionale), per sabotare, per l’ennesima volta, la trasformazione del Paese in una democrazia occidentale, iniziava l’ultima fase su larga scala di una lunga guerra. Una guerra sanguinaria che è iniziata il 18 febbraio 2014, dopo l’assassinio degli oltre 100 manifestanti di Maidan, l’occupazione e l’annessione della Crimea e l’autoproclamazione delle milizie filo-russe di due entità separatiste: le “repubbliche” di Lugansk e Donetsk, avvenuta in seguito all’intervento russo nell’Ucraina orientale, la regione del Donbass.

Putin incapace di liberarsi dal pensiero di super potenza e dalle illusioni imperialiste – il suo riferimento resta lo Zar Pietro il grande, che considera il più grande leader al mondo – a cui hanno saputo invece rinunciare alla fine della Seconda Guerra mondiale Germania e Giappone, ha continuato, attraverso la guerra, quel progetto di dominio, sfruttamento e sottomissione che la Russia ha portato avanti nei confronti degli ucraini fin dal 1764, anno in cui per la prima volta il territorio dell’Ucraina venne annesso all’Impero russo dall’imperatrice Caterina II la “grande”.

La resistenza e le sofferenze degli ucraini

Per restare solo ad una storia più recente, gli ucraini, la cui ostinata resistenza in questa guerra, spiazza, e a tratti è quasi incomprensibile da noi occidentali, hanno dovuto affrontare: i campi di sterminio di Hitler, i gulag di Stalin, e soprattutto l’Holodomor (o sterminio per fame) che uccise in pochi mesi, tra l’autunno del 1932 e la primavera del 1933, quasi quattro milioni di ucraini (di cui quasi la metà era costituita da bambini). L’Holodomor, provocato volontariamente dalle politiche agricole di Stalin, con l’intendo di sterminare parte del popolo ucraino, e stato tenuto nascosto al resto del mondo per ben oltre cinquant’anni, ed è ritenuto il più grande sterminio della storia d’Europa del XX secolo dopo l’Olocausto. Solo nel 1989, all’epoca di Gorbaciov in piena glasnost, uscirono le prime testimonianze con la ripubblicazione di un romanzo, Tutto scorre, dello scrittore Vasilij Grossman, – sequestrato e censurato negli anni ’60 dal Kgb – che affronta gli anni della collettivizzazione, della carestia e dello sterminio dei kulaki in Ucraina. Le tracce di questo sterminio, per fame, angoscia e alberga ancora oggi le menti di tantissimi ucraini e forse contribuisce a dargli quella smisurata forza di resistenza contro l’oppressore russo.

Scontro di civiltà secondo Dugin, il Rasputin putiniano

Putin, si lascia alle spalle l’ideologia marxista leninista impartitagli a scuola, e fa proprio, subendone il fascino, il motto zarista «Autorità, ortodossia e nazionalismo» che lo spinge fin da subito a ricostruire la grande Russia dopo il catastrofico crollo dell’Unione Sovietica che lui ha definito “la più grande tragedia della storia”. D’altronde Putin non ha mai nascosto la sua visione quando dice in più di qualche occasione in pubblico: “L’Impero russo è esistito, esiste e esisterà anche oltre le sue materiali possibilità”.
Una visione, quella di Putin, rafforzata da Aleksander Dugin, filosofo, esperto di geopolitica, ultranazionalista, sostenitore della religione ortodossa tradizionale contraria alle libertà individuali, ispiratore della linea del Cremlino, nonché mentore e cervello del nuovo Zar.  Paragonato al mistico Rasputin che influenzò lo zar Nicola II, tanto da essere definito il “Rasputin putiniano”, è colui, per intenderci, la cui figlia Daria, è stata uccisa, si sospetta per mano di “parti del governo ucraino”, in un attentato nei pressi di Mosca (è stata fatta saltare in aria da una bomba – probabilmente destinata al padre – che gli era stata piazzata sotto il sedile del suo Suv mentre stava rientrando nella Capitale). Dugin, che ritiene in ogni caso Putin troppo morbido e per questo non un vero Zar, ha definito la guerra che si combatte in Ucraina come uno scontro di civiltà tra la Civiltà globalista (NATO, USA e in genere tutto l’Occidentale che fonda il suo essere, secondo la sua visione, sulla logica del profitto) e la Civiltà Eurasiatica. La sua idea per la Russia sarebbe quella di costruire un impero di terra, chiamato Eurasia, che comprenda, oltre all’attuale Federazione russa, anche tutta l’Europa dell’Est, l’Iran e la Turchia.

Scontro tra liberaldemocrazia e autocrazia

Chi scrive sostiene che c’è in atto, in questa guerra in Ucraina, uno scontro tra liberaldemocrazia e autocrazia, ossia due sistemi politici, istituzionali e stili di vita, dove i diritti umani, le aspirazioni e i sogni dell’uomo, ma anche il modus operandi della vita quotidiana, hanno dimensioni totalmente diverse.
Da un lato l’Ucraina, il Paese aggredito, che aspira a entrare nell’UE e nella NATO, che viene sostenuta attraverso aiuti finanziari, umanitari, nonché ingenti forniture di armi di ogni genere da oltre 50 nazioni (tra cui USA,UE) che credono nel potere della democrazia, e dall’altro la Federazione russa, il Paese invasore, che è un’autocrazia, sostenuta in questa guerra da tante altre autocrazie sparse nel mondo e dal Sud Globale (quel blocco di Paesi identificato da affinità geopolitiche e non dalla geografia che una volta chiamavamo «Terzo mondo» e che ora, da punti di vista molto diversi  – dall’Arabia all’India – insidia il primato occidentale). La Cina, in particolare, con la “postura di neutralità” gli dà il sostegno morale e politico ma non equipaggiamenti militari, anche se, insieme all’India (molto ambigua in politica estera), attraverso l’acquisto a buon mercato di carbone, petrolio e gas naturale russi, gli finanziano la guerra, mentre l’Iran gli fornisce i droni kamikaze Shahed-136 e missili balistici, la Corea del nord milioni di proiettili e i missili KN-23 o Hwasong 11 usati quotidianamente sui diversi campi di battaglia. Anche il Brasile ha una postura di “neutralità” che in realtà riflette il desiderio di mantenere i legami economici con la Russia – che si sono approfonditi dal 2022 – evitando di alienarsi la comunità internazionale e i sostenitori dell’Ucraina.

Insomma le autocrazie come la stessa Russia, l’Iran, la Cina e la Corea del Nord hanno celebrato «matrimoni di convenienza» economica e politica per darsi reciproco sostegno all’ombra dei conflitti.

Sul fronte armi, Putin oltre agli aiuti esterni, ha dovuto aumentare la produzione bellica, a dire il vero a pieno ritmo, visto che la Russia è uno dei maggiori produttori mondiali di armi (la sua quota del mercato globale è pari al 16%), oltre che ad aver riconvertito la sua economia in una vera economia di guerra.

Guerra culturale tra Russia e Ucraina

Inoltre, la guerra combattuta in Ucraina, tra trincee, artiglierie, carri armati, missili da crociera, droni, spie, sabotaggi, disinformazione, dove si intreccia anche il gas russo e il grano ucraino, è anche una guerra culturale, dove Putin cerca in tutti i modi di sterminare la cultura ucraina, passata e presente, attraverso la cancellazione dell’identità nazionale. E lo fa colpendo gli elementi distintivi di tale identità, come la musica, la letteratura, i film. Non a caso in più di un’occasione Putin pubblicamente ha affermato che la lingua ucraina, elemento cardine dell’identità ucraina, altro non è che un dialetto russo, che i russi e gli ucraini sono un popolo unico, e che l’Ucraina come nazione è stata creata dai leader sovietici. Molti storici e linguisti hanno smentito la retorica propagandistica putiniana, affermando che sia il russo che l’ucraino sono due lingue distinte della stessa famiglia di lingue slave, e che le storie, sia russa che ucraina, se pure intrecciate, sono diverse e ciascuna con una propria identità.

L’invasione dell’Ucraina, secondo Kirill, è una “Guerra Santa” contro l’Occidente

“L’invasione dell’Ucraina è una guerra Santa. È una lotta per la salvezza dell’uomo. È contro l’Occidente che sostiene i gay”. Con queste parole Kirill I, Patriarca della Chiesa di Mosca e di tutte le Russie, già spia del KGB, con un patrimonio di 4 miliardi di dollari, che ha rotto con gli ortodossi ucraini e con la Chiesa di Costantinopoli, giustifica l’invasione dell’Ucraina. Così le scelte politiche di Vladimir Putin sembrano appoggiarsi sempre più su motivazioni religiose e messianiche che vedono la guerra in Ucraina come una via di salvezza finale per la Russia.
Per chi ha seguito da vicino l’evoluzione della Chiesa ortodossa russa – che insieme alle burocrazie di sicurezza (FSB) sono le uniche grandi istituzioni centrali ad essere sopravvissute al crollo del sistema comunista – non si meraviglia della considerazione che ha della guerra in Ucraina, dato che si è posta come l’ultimo dei paladini della morale sociale russa in un contesto di “guerra culturale” condotta da un “Occidente decadente” (gli Stati Uniti cercano l’egemonia globale, mentre le nazioni europee stanno distruggendo le loro radici che crescono dalla cultura cristiana).

D’altronde lo stesso Putin in più di qualche occasione, nella sua retorica, si è presentato come il garante di una civiltà russa (con le sue tradizioni e la sua cultura) che è sotto attacco da parte dell’Occidente che ha definito “satanista”, “perverso“ e “liberale”, che abbraccia la sodomia, e in quanto tale deciso a distruggere la famiglia tradizionale, la fede religiosa, l’orgoglio nazionale e la sovranità.
Una retorica che emerge in diversi partiti e movimenti populisti di estrema destra in tutta Europa. 

Tale visione si è tradotta in una persecuzione più dura delle persone Lgbtq+, nella richiesta da parte del patriarca Kirill al Parlamento di vietare l’aborto, nella pressione affinché le donne non perdano tempo dedicandosi agli studi e alla carriera e di concentrarsi sulla maternità per dare figli alla patria, e sulla promozione di un’istruzione patriottica a partire dall’infanzia. 

Indottrinamento patriottico anti-Occidente a Scuola

 Il primo settembre, primo giorno di scuola chiamato sia in Russia che in Ucraina “Giorno del Sapere”, già a partire dal primo anno di guerra in Ucraina, Putin ha lanciato in tutte le scuole di ogni ordine e grado, russe e dei territori occupati dell’Ucraina, come Mariupol, un vero e proprio indottrinamento patriottico anti-occidentale per riprogrammare la società russa e porre fine a 30 anni di apertura verso l’Occidente. Con nuovi libri di storia, in cui si inneggia al patriottismo, è stata introdotta ogni lunedì in aula una lezione di geopolitica per celebrare la rinascita della Russia sotto Putin, come grande potenza del XXI secolo, per spiegare la riunificazione della Crimea e l’operazione militare speciale.

Insomma un lavoro per impartire una ideologia di Stato e incoraggiare i bambini a unirsi ad un nuovo movimento patriottico giovanile somigliante ai “Pionieri dell’URSS” dalla cravatta rossa, presieduto da Putin, al fine di avere in un prossimo futuro nuovi soldati pronti a difendere la patria, e comunque di invogliare tanti bambini, specie gli orfani di guerra, a iscriversi nelle diverse Accademie Militari.
Il governo prevede di spendere quest’anno 500 milioni di dollari per “l’educazione patriottica” e per un “esercito giovanile”.

La Russia fu tagliata fuori dal Rinascimento europeo

Per comprendere le motivazioni religiose e messianiche che vedono la guerra in Ucraina come una via di salvezza finale per la Russia, è il caso di citare le considerazioni storiche di Paul Bushkovitch, professore di Storia alla Yale University, che nel suo libro “Breve storia della Russia” (2013, Piccola Biblioteca Einaudi) parla della questione del “gioco mongolo”, ossia di un lungo periodo di 200 anni di dominazione russa da parte dell’Orda d’oro, potenza nomade dell’Asia Centrale, durante i quali nel XIV e XV secolo, la Russia fu tagliata fuori dal Rinascimento europeo (rinnovamento filosofico, artistico, scientifico e letterario che portarono alla luce l’umanità e le coscienze moderne, dopo l’oscurantismo dell’epoca medievale) e visse sotto il controllo di dinastie islamiche. In quel periodo fu impresso, alla storia russa, un carattere asiatico, che porterà poi a maturare nel popolo russo un carattere messianico che segnerà il nazionalismo russo. Infatti il popolo russo, dopo il gioco islamico, inizierà a considerarsi popolo prescelto da Dio, e Mosca si considererà Terza Roma, dopo Roma antica, e Costantinopoli, con un ruolo di guida di tutta la cristianità. Ma, sempre secondo Paul Bushkovitch, il nazionalismo russo così concepito è miope e finisce per rivelarsi un fallimento sia per i grandi zar riformatori, come Pietro I e Alessandro I, sia poi per Stalin e lo stesso Putin, incapace di trasformare la Russia in una nazione civile come Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia. Quel nazionalismo che ha accompagnato e accompagna la vita e i pensieri di tanti russi che puntualmente nei sondaggi di gradimento del loro presidente, Vladimir Putin, si esprimono sempre a favore con una percentuale che sfiora l’80%, confermata ampiamente nelle ultime elezioni Presidenziali di marzo 2024. Putin, nelle sue scelte, pur se decide da solo, essendo in un regime autocratico, non potrebbe fare mai quello che fa se non avesse la consonanza più o meno ampia del suo Paese. Lo stesso si può dire per Zelensky e, facendo un volo pindarico, per Hamas per la Palestina. Perché in fondo i leader non agiscono su iniziativa personale ma rappresentano comunque un “movimento della storia”. Anche se eliminati, altri prenderebbero il loro scranno per proseguire la stessa strada.

A chi crede che Putin sia un pazzo risponde un ex deputato della Duma

Putin non è un pazzo – afferma l’ex deputato della Duma, Ilya Ponomarev, l’unico a votare contro l’annessione alla Crimea e per questo non fatto rientrare dalle autorità da un suo viaggio all’estero – ma un manipolatore, un bullo e un mafioso. È una persona molto conservatrice che rievoca la storia sovietica e l’autocrazia zarista e questo ha un certo fascino. Putin dice ai russi: io vi proteggerò, farò in modo che non si torni agli anni ’90anni che i russi detestano – magari non sono perfetto, magari sono un ladro, ma vi proteggerò dal caos”.

Lo spettro della guerra nucleare

Putin, fin da quando ha avviato la sua operazione speciale militare, a più riprese ha agitato lo spettro di una guerra nucleare, a causa del coinvolgimento dei Paesi della NATO nel conflitto. L’ultima minaccia è arrivata in occasione del suo annuale discorso sullo stato della Nazione davanti alla Camere riunite, in un momento di successi delle sue truppe sul campo di battaglia, dove la controffensiva ucraina è stata fiacca, e in risposta al Presidente francese Macron che nei giorni precedenti aveva annunciato un possibile intervento delle truppe occidentali di terra in Ucraina di fronte al pericolo che la Russia, ormai, essendo diventata una potenza, voglia espandersi. E anche alla vigilia delle elezioni presidenziali minaccia la Finlandia appena entrata nella NATO insieme alla Svezia, annunciando di schierare le sue truppe lungo il confine russo-finlandese (lungo 1340 Km) e di essere pronti a usare le armi atomiche ma solo come risposta a minacce alla “esistenza” dello Stato o alla sua “sovranità e indipendenza”.

Se anche Putin ribadisce di non voler attaccare i Paesi della Nato, Mosca resta una minaccia considerato il suo arsenale nucleare, il più vasto del mondo, che conterebbe circa 6000 testate nucleari. Gli USA, la prima potenza militare al mondo, ne avrebbero 5428.

Su questa minaccia è intervenuto nel 2023 il premio Nobel per la Fisica, Giorgio Parisi, che ha detto “I rischi di guerra nucleare sono decisamente elevati, perché nel passato gli Stati non sono mai arrivati a firmare un trattato in cui si impegnassero a non usare l’arma atomica per primi. Per cui la dottrina nucleare di tantissimi Stati, come la Francia, l’Inghilterra ma anche la Russia, è che l’atomica può essere usata in caso di invasioni del territorio, se è in ballo la sopravvivenza dello Stato nazionale. Alla Russia – prosegue Parisi – non conviene usare la bomba atomica. Ma al momento tutto è possibile.

Per il premio Nobel si dovrebbe cercare di ottenere un impegno che vieti l’arma atomica in caso di guerra, e per risolvere la crisi ucraina l’unico modo è un accordo che vada al di là dell’Ucraina, per esempio dare alla Russia garanzia di zone demilitarizzate in Europa.

Dalla Rivoluzione di Maidan al 24 febbraio 2022

Era la notte a cavallo tra il 21 e il 22 novembre 2013, quando nel centro della capitale ucraina, Kiev, si accende la protesta di piazza antigovernativa contro il rifiuto del presidente in carica, Viktor Yanukovich – amico di Vladimir Putin, e sui quali c’erano già forti sospetti di corruzione, di clientelismo e di capitalismo 0ligarchico – di firmare un accordo di libero scambio con l’Unione Europea. Un atto per avvicinare l’Ucraina all’Europa, come prosecuzione di un percorso di avvicinamento a Bruxelles iniziato anni prima in seguito alla “Rivoluzione arancione” del 2004.

Quella notte scoppiava la Rivoluzione di Maidan, le cui proteste, di quasi un milione di ucraini provenienti da tutta la nazione e concentrate nella Piazza dell’Indipendenza di Kiev – ribattezzata affettuosamente “la Maidan”, iniziate pacificamente ma poi degenerate nel corso delle settimane successive in un’escalation di violenze che culminò il 18 febbraio 2014 negli scontri tra manifestanti e polizia (durante i quali dei cecchini,  mai messi sotto processo, delle unità speciali della polizia, sparando sulla folla uccidono oltre cento persone e ferendo molte altre), indussero il parlamento a fare muro contro Yanukovich e infine a rimuoverlo in modo definitivo. Il Presidente fugge fino ad arrivare a Mosca dichiarando che era stato vittima di un vero golpe.

La Rivoluzione liberal-democratica, oltre ad alcuni cambiamenti prodotti tra cui l’abolizione della lingua russa come lingua ufficiale, secondo diversi storici, si rivelò comunque un fallimento visto che ad un gruppo di oligarchi si era sostituito un altro gruppo anch’essi di oligarchi. L’Ucraina aveva e ha bisogno di una nuova classe politica, che vada oltre la mera divisione filorussa e antirussa, e che sia capace di fare il bene del Paese e non quello proprio. Mentre è noto che gli oligarchi si oppongono ad ogni cambiamento che possa portare a uno sviluppo economico e progresso democratico e si arricchiscono grazie ad appalti pubblici, transazioni poco trasparenti, alla guerra e ai rapporti amichevoli con Ue e Usa, che hanno sostituito con la vecchia “compagna” Russia. E la corruzione, l’eredità maligna dell’URSS, continua a essere una piaga, che l’Ucraina si porterà in dote per le prossime generazioni prima di poterla estirpare.

Vladimir Putin, nel frattempo, di fronte alla disfatta del governo fantoccio dell’Ucraina da lui creato, e nella sua visione imperialista, non poteva tollerare di perdere la sua sfera di influenza (culturale, politica, economica e militare) sull’Ucraina. Senza contare che un’Ucraina eurocentrica, avrebbe fatto venire meno la sua sfera d’influenza anche in due regioni fondamentali per la sua stabilità: Mar Nero e Caucaso. Così reagisce con due mosse strategiche. Occupa, senza sparare un colpo, la Crimea che annette unilateralmente il 18 marzo, o meglio riannette (nel 1954 l’allora leader sovietico Nikita Krusciov, aveva “regalato” la penisola di Crimea all’Ucraina come segno di fraterna vicinanza tra le due Repubbliche dell’URSS) dopo un referendum, e fomenta rivolte nei territori russofoni nel Donbass.

La guerra nel Donbass

Le manifestazioni di protesta del Donbass, nell’aprile del 2014, sfociano in un vero conflitto armato: la guerra nel Donbass che porterà l’autoproclamazione delle milizie filo-russe, sostenute sistematicamente dalla Russia, di due entità separatiste: le “repubbliche” di Lugansk e Donetsk.

Il Donbass, regione orientale dell’Ucraina, era, prima della guerra, un vero polmone industriale. Diventa uno degli obiettivi di conquiste di Putin in quanto ospita alcune delle più grandi riserve mondiali di titanio, minerali di ferro, giacimenti di litio non sfruttati e altri giacimenti di uranio, oro, carbone, terre rare, gas e petrolio, il cui valore nel complesso ammonterebbe a decine e decine di miliardi di dollari. Non solo. Ma è abitata da tantissimi russi che, nel corso dei secoli, sono emigrati in questa area orientale dell’Ucraina. Dei russofoni che, non solo negli appuntamenti elettorali, da quelli locali fino a quelle presidenziali, successivi all’indipendenza dell’Ucraina avvenuta il 24 agosto 1991, si sono schierati sempre dalla parte di candidati sponsorizzati dal Cremlino – governi cleptocratici post-sovietici che sono stati sempre in contrapposizione ai governi filoeuropei che tentavano di emanciparsi – ma all’indomani della Rivoluzione di Maidan, temevano per i loro diritti civili, se il Paese si fosse voltato a Occidente, e non tolleravano un cambiamento in atto che riguardava l’adozione dell’ucraino come lingua ufficiale, in sostituzione del russo, ostacolando di fatto l’uso della loro cultura. In effetti dal 2014 in poi, tutti i governi ucraini hanno spinto per una sistematica “ucrainizzazione” culturale del Paese, per annullare la “russificazione” attuata da Mosca. L’ucraino, così, viene insegnato a scuola, nelle Università, usata in Tv, nei giornali, nelle rappresentazioni teatrali, cinematografiche, su qualsiasi scritta pubblica, ecc.; tutti i canali televisivi della Russia sono proibiti; non ci sono più voli diretti tra Russia e Ucraina, vengono boicottati prodotti russi. Tutto questo limitava la vita ai russofoni. Tale sentimento era vivo soprattutto tra le generazioni più anziane che sentivano ancora di più una certa vicinanza con la Russia.

In questo clima, proprio nel Donbass, si scontrano due forme di nazionalismo. Il nazionalismo dell’Ucraina, determinato a restaurare cultura e tradizioni, che la Russia ha cercato sempre di cancellare con le sue campagne di “russificazione”, quasi dimenticando che russi e ucraini, per quanto la Storia del Novecento avesse tragicamente diviso i due Paesi, appartenevano alla stessa storia, letteratura e religione ortodossa. E il nazionalismo della nuova Russia, risoluto nel difendere con ogni mezzo le popolazioni russofone, discriminate oggettivamente, ma anche a sobillare il malcontento prima e il separatismo poi con generose forniture di armi, mercenari, passaporti.

Dalla guerra in Donbass durata 8 anni, si arriva senza interruzione all’operazione militare speciale o meglio seconda invasione su larga scala dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, una guerra che dura da due anni, che risucchia all’interno, come parte integrante, il conflitto in corso nel Donbass. Insomma 10 anni di guerra in Ucraina.

Nel corso dei suoi 8 anni la guerra del Donbass è stata declassata a conflitto a “bassa intensità”, combattuta su una linea di fronte lunga circa 400 Km, che non è mai cambia e forse per questo dimenticata dai media internazionali e dalle maggiori cancellerie occidentali. In più gli eventi del 2014-2015 sia per l’Europa che per gli USA sono stati considerati un affare “interno”. Una storia tra Russia e Ucraina. Qualcosa di simile all’aggressione russa contro la Georgia nel 2008, a cui il mondo occidentale ha prestato pochissima attenzione.

Solo due anni fa, specie dopo i massacri di civili a Bucha, Vorzel, Irpin e Borodyanka – gli USA, l’Europa e altrui paesi hanno capito che questa guerra andava oltre il concetto di “conflitto interno”, anzi poteva far scatenare una terza guerra mondiale, per questo si sono finalmente schierati dalla parte dell’Ucraina e contro l’aggressione di Putin che metteva sotto attacco i valori democratici e i paesi che difendono tali valori.

Una guerra quella del Donbass che ha prodotto oltre 20.000 morti, tra civili e militari, e in cui non sono mancati anche da parte dell’Europa due tentativi di dialogo e di pace: gli Accordi di Minsk I e poi Minsk II, (firmati per l’appunto nella capitale della Bielorussia), che però sono rimaste in parte inattuati. C’era il nodo dello status speciale da concedere ai separatisti, che le autorità centrali ucraine faticavano ad accettare, perché temevano che minacciasse l’unità territoriale e soprattutto l’indipendenza del Paese rispetto alle mire espansionistiche del gigante russo.

Nel periodo 2014 – 2020 tra una tregua e l’altra e scontri violenti fra le forze ucraine e quelle filorusse, sono stati registrai ben 29 cessate il fuoco violati reciprocamente, segno che nessuno delle parti in causa abbia voluto realmente costruire la pace.   

Le repubbliche di Donetsk e Lugansk, governate dai separatisti, sono attualmente dei buchi neri della storia d’Europa, sono territori che hanno dato forma a staterelli fantasma, come l’Abkhazia, l’Ossezia del Sud, la Transnistria, riconosciuti dalla sola Russia e da pochi Paesi amici. Proprio la Transnistria potrebbe essere il prossimo fronte

Lo scenario geopolitico prima del 24 febbraio 2022

Prima di arrivare alla nuova invasione dell’Ucraina su larga scala del 24 febbraio, è necessario delineare quale fosse lo scenario geopolitico, anche per sommi capi, creatosi nel frattempo.

Nel 2019, l’Ucraina è chiamata alle urne. Al ballottaggio il presidente uscente Poroshenko viene sconfitto dal rivale Volodymyr Zelensky, un attore comico, di origine ebraica, che dopo il successo nel suo show “Il Servo del popolo”, fonda un partito politico con posizioni populiste, europeiste e anti-establishment e lancia la sua candidatura alle presidenziali. In politica estera, se pure abbia spinto per il dialogo con la Russia, i rapporti si sono incrinati quando verso la fine del 2021 annuncia di voler aderire all’UE e alla NATO.
Zelensky poi allo scoppio della guerra, da presidente vestirà da quel momento i panni da generale, da eroe di guerra.

Nell’agosto del 2021 gli Usa si ritirano dall’Afghanistan che ripiomba nel Medioevo. Biden archivia 20 anni di (fallita) esportazione della democrazia USA. Gli interessi americani si spostano sul fronte indo-pacifico per contrastare l’espansione economica-militare della Cina. Putin interpreta questo ritiro militare come un vuoto di potere, un segno di debolezza.

Il 17 dicembre il Cremlino aveva presentato richieste dettagliate ai Paesi occidentali: la Nato avrebbe dovuto cessare tutte le attività militari nell’Europa orientale e rigettare la richiesta di adesione di qualsiasi nazione ex sovietica. L’allusione era chiara, faceva riferimento all’Ucraina. A gennaio 2022 funzionari statunitensi e russi si erano incontrati a Ginevra, in Svizzera, senza risolvere le divergenze. Qualche giorno dopo la Nato aveva rinforzato la sua presenza militare nell’Europa dell’est con navi e cacciabombardieri a fronte di un ammasso di truppe russe, che sfioravano le 190mila unità, a ridosso del confine nord, nord-est, est ucraino.

Già qualche anno prima, Putin ha trovato un nuovo partner strategico, più che un alleato, nel presidente cinese Xi Jinping.

Una collaborazione segnata non solo da una rivitalizzata cooperazione economica, ma da accordi energetici che guardano alle infinite risorse dell’Asia, dell’Artico. Nel dicembre 2019 viene inaugurato il gasdottoPower of Siberia”, lungo 3000 km., che trasporterà 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno, dalla Siberia verso Shanghai, per tre decenni.  Un accordo energetico che è stato poi rinnovato nel 2023, per la realizzazione nel 2024, di un nuovo gasdotto il “Power of Siberia 2”, che collegherà la Russia alla Cina attraverso la Mongolia.

Con questi accordi Putin si stava preparando alla guerra in Ucraina e su come poterla finanziare in un lungo periodo, nel caso in cui non fosse stata una guerra lampo come magari immaginava. Per cui quando in Europa si pensava ad un tracollo dell’economia russa sottoposta a molteplici pacchetti di sanzioni, si sottovalutavano gli ingenti introiti russi provenienti dalla Cina (ma anche dall’India) per la vendita di gas, petrolio e carbone.

Un altro momento chiave dei rapporti tra Putin e Xi, è il 4 febbraio 2022, venti giorni prima dell’invasione dell’Ucraina. A Pechino, in occasione della cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi invernali, Putin e Xi Jinping firmano una “Dichiarazione congiunta” che, divisa per punti, ha riscritto l’ordine mondiale.  

È una dichiarazione in cui si parla di inizio di una “nuova era” in cui non è più determinante la “democrazia dell’Occidente” ma ogni Paese può scegliersi le “forme e i metodi di attuazione alla democrazia che meglio si adattano al loro Stato”. Con una chiara allusione al rifiuto dell’ordine mondiale a guida americana e della riaffermazione delle proprie logiche come quella di forza che Putin sta manifestando nei confronti dell’Ucraina o quella probabile futura che Xi Jinping si preparerebbe a fare con l’annessione di Taiwan. La dichiarazione afferma inoltre che le loro partnership “non hanno limiti”, ed è la prima in cui la Cina si è unita esplicitamente alla Russia per opporsi a qualsiasi espansione della Nato.

Su questa partnership russo-cinese, il presidente francese Macron in una recente intervista rilasciato al quotidiano francese L’Opinion ha affermato:” la Russia (…) ha di fatto iniziato una forma di vassallizzazione nei confronti della Cina “. Una visione simile era già emersa nelle settimane dopo la firma della dichiarazione congiunta, quando altri osservatori occidentali avevano visto nella Russia il pericolo di diventare, in un futuro non troppo lontano, una colonia della Cina. 

Il 21 febbraio, dopo aver riconosciuto le repubbliche di Donetsk e Lugansk, il presidente Putin ordinava il dispiegamento di ulteriori truppe nel Donbass, in un’operazione definita “di peacekeeping”. Il giorno dopo, il Consiglio della Federazione autorizzava all’unanimità Putin a usare la forza militare al di fuori della Federazione russa.

24 febbraio 2022, Putin invade l’Ucraina: avvio operazione militare speciale

Verso le 5,30 del mattino del 24 febbraio 2022, a Mosca, il presidente Putin annunciava l’inizio di una “operazione militare speciale” nella regione del Donbass. 
Subito dopo erano arrivate segnalazioni di esplosioni in diverse città ucraine, tra cui le due più popolose: Kiev e Kharkiv. Nel frattempo, truppe d’assalto sbarcavano a Odessa
Il conflitto era iniziato. Il mondo non era più quello di prima.

Secondo i piani di Mosca le truppe russe avrebbero dovuto raggiungere la Capitale per catturare (o uccidere) il presidente Volodymyr Zelensky, in una guerra lampo (quella paventata da Putin a Xi), per instaurare un governo fantoccio. Mosca non aveva calcolato la resistenza che li attendeva e tantomeno la reazione dell’Occidente, che era stata blanda nel 2014 con l’occupazione della Crimea.

Kiev si trincera, in città si impone il coprifuoco notturno, il governo distribuisce fucili e munizioni, ovunque vengono costruite trincee e barricate, sui balconi si impigliano le bottiglie molotov.

L’esercito ucraino e popolazione, con una resistenza inaudita, infatti bloccano e respingono le truppe russe, non solo a Kiev, ma nel nord e nel nord-est dell’Ucraina, tanto che sono costrette a ripiegare verso sud e verso il Donbass.

Ma prima di ripiegare, reagiscono: a Bucha si consuma l’orrore con torture, fucilazioni, spari contro chiunque giunga a tiro. A questi crimini orrendi se ne aggiungono altri: violenze sessuali perpetrate indistintamente a donne e uomini, bambini torturati in massa e deportazioni forzate.

Intanto i comandanti del Cremlino hanno attaccato su più fronti con la conquista di ampie porzioni di territori a sud e a est.
Uno dei punti più difficili della resistenza dell’Ucraina è la capitolazione di Mariupol il 20 maggio, con la resa dei suoi 2500 difensori, incluso il famigerato battaglione Azov (dichiaratamente nazista), il cui comandante, catturato, verrà liberato successivamente in uno scambio di prigionieri.

La situazione inizia a cambiare per lo Ucraina tra giugno e luglio quando, con l’arrivo delle armi occidentali, specie i lanciarazzi americani Himar, i droni e le artiglierie in dotazione dei Paesi NATO, aiuta a fare fronte contro le migliaia di cannoni che Mosca sta impiegato ovunque. I risultati per gli ucraini arrivano dopo l’estate. A settembre del 2022, avviene la liberazione di oltre 12.000 chilometri quadrati di territorio ucraino nell’oblast’ di Kharkiv, nell’est del Paese, e l’11 novembre viene liberata la città di Kerson sino al Dnipro.

Nel frattempo Putin, dopo l’annessione della Crimea avvenuta nel marzo 2014, decide di annettere, il 30 settembre 2022, dopo il referendum giudicato una farsa da Kiev e dalla comunità internazionale, quattro regioni dell’Ucraina: le autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e le regioni di Kherson e Zaporizhzhia, oblast in cui già era stato avviato il processo di passaportizzazione.

Nel corso dell’estate del 2023 l’Ucraina spera di sferrare una controffensiva per sottrarre una quantità significativa di territorio, ma l’esercito di Putin, che ha commesso gravi errori nei primi mesi di guerra, si è riorganizzato. La controffensiva ucraina fallisce. È un duro colpo al morale e alla credibilità dell’esercito ucraino ed è un segnale che il conflitto si sta impantanando e assume il carattere di una “guerra di posizione” in cui entrambe le parti cercano di logorarsi a vicenda. Insomma nessuno ha capacità di sfondare. Tuttavia, l’esercito ucraino riesce grazie missili e droni navali ad affondare e danneggiare diverse navi russe al largo delle coste della Crimea, così da rompere il blocco dei porti imposto da Putin, aprire un corridoio per le esportazioni di grano, costringendo anche la flotta russa del Mar Nero a ritirarsi dalla Crimea. Questo è il vero cambiamento, o punto di svolta della guerra, avvenuto nell’ultimo anno.

La linea del fronte, che si estende per quasi 1000 km., non è cambiata negli ultimi mesi.
Mosca, nel 2014, dopo l’occupazione della Crimea controllava il 7% del territorio ucraino, diventato il 30% nel 2022, dopo la seconda invasione, e ridotto a poco meno del 18% attualmente, dopo le riconquiste dell’esercito ucraino.

I numeri degli ultimi due anni di guerra in Ucraina.
Morti e feriti di guerra

A causa del segreto di stato di entrambi le parti è molto difficile stimare con sicurezza il numero di militari e civili uccisi durante il conflitto. Secondo il Ministero della Difesa ucraino, Mosca lascerebbe ogni giorno sul campo di battaglia almeno 480 uomini.

Il Pentagono ha calcolato nell’arco degli ultimi due anni di guerra 315mila soldati feriti o uccisi tra i russi e 120mila nelle fila ucraine (compresi 6 mila mercenari stranieri uccisi su un totale di 13.387 arrivati in Ucraina).

Fonti russe indicano che, i soldati della Federazione russa, oltre che scarsamente addestrati ed equipaggiati, possono contare su una debole struttura del servizio sanitario militare. Tanto che la stragrande maggioranza dei decessi in combattimento è dovuta a emorragie, non a ferite mortali. Inoltre, sono in aumento tra le fila russe anche le diserzioni, mentre la popolarità della guerra sembra diminuire quando si tratta di sostenere la leva.

Kiev, per ricostituire le truppe, sta valutando una legge che prevede l’abbassamento dell’età di leva da 27 a 25 anni. Occorre reintegrare le perdite, molto elevate, e dare a chi è al fronte (l’età media è di 43 anni), l’opportunità di ruotare.

L’esercito russo si è macchiato di oltre 125 mila crimini di guerra, uccidendo, secondo la missione di monitoraggio dei diritti umani in Ucraina, inviata sul terreno dalle Nazioni Unite, più di 10.500 civili (42 vittime civili al giorno), tra cui 587 bambine e bambini, e ferendo quasi 20 mila persone. I continui bombardamenti, le mine e gli attacchi dei droni, mentre hanno lasciato una generazione traumatizzata, sfollata e spaventata per la propria vita.

L’esodo dall’Ucraina

Dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte di Putin, oltre 10 milioni di ucraini sono stati costretti a fuggire dalle proprie case, in cerca di sicurezza, protezione e assistenza, e almeno 8 milioni, su una popolazione di circa 43 milioni, hanno attraversato le frontiere nei paesi vicini e molti altri sono stati costretti a spostarsi all’interno del paese. Secondo le stime dell’UNHCR i rifugiati dell’Ucraina registrati a livello globale, che hanno trovato protezione temporanea in un altro paese, sono circa 6,486 milioni in data 14 marzo 2024. Di questi 5,982 milioni sono i rifugiati dall’Ucraina registrati in Europa, e 503mila i rifugiati registrati fuori dell’Europa.

Nell’Ue, grazie alla vicinanza geografica, il paese con il numero maggiore di persone accolte è la Polonia con 1,64 milioni di unità, segue la Germania con 1,139 milioni di unità e la Repubblica Ceca (589mila).

I due altri paesi confinanti, sempre secondo i dati dell’UHCR, la Federazione Russa e Bielorussa, hanno accolto complessivamente 1,255 milioni di rifugiati dall’Ucraina. La parte più cospicua è quella ospitata in Russia, dove sono presenti 65.400 persone a cui è stato garantito lo status di rifugiato o di asilo temporaneo e 1,21 milioni registrate sotto altre forme, anche se gli ucraini che nel complesso hanno varcato la frontiera russa, dal 24 febbraio, sono 2,852 milioni. La Russia ha sempre affermato di aver aiutato a evacuare i civili senza forza, ma le numerose segnalazioni di trasferimenti forzati di rifugiati ucraini in Russia dicono il contrario. Nel corso della guerra diverse fonti hanno riportato di un numero cospicuo di bambini, pari a 5000, di cui 1700 orfani, che sarebbero stati deportati in Russia e per i quali si è profilato un destino ben preciso: essere adottati da famiglie russe grazie a leggi studiate ad hoc. Anche uno studio dell’Università di Yale afferma che 2500 bambini ucraini tra i 6 e i 17 anni sarebbero stati deportati in Bielorussia.

In Ucraina poi la situazione resta drammatica: 17,6 milioni di persone rimaste nella nazione, tra cui oltre 3 milioni di bambini, hanno bisogno di un’assistenza umanitaria urgente. Solo nel 2022, il livello di povertà in Ucraina è quintuplicato passando dal 5 al 24% e circa l’80% delle persone bisognose di aiuto necessita anche di supporto per la propria salute mentale.

Senza contare che a causa delle violenze in corso, più di 5 milioni di persone sono ancora sfollate all’interno dell’Ucraina, diretti spesso nelle regioni occidentali.

Le sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia

Dal febbraio 2022, Stati Uniti, Europa e i loro alleati hanno adottato sanzioni massicce (individuali, economiche e misure in materia di visti), contenute in 13 pacchetti, alla Russia in risposta alla guerra di aggressione nei confronti dell’Ucraina. Queste si aggiungono alle misure in vigore imposte alla Russia a partire dal 2014 a seguito dell’annesione della Crimea e dalla mancata attuazione degli accordi di Minsk.

Le sanzioni economiche, tra cui i divieti di importazione e di esportazione, dall’Hi-tech alla vodka (alla fine ha riguardato anche il commercio Mosca-Anversa dei diamanti grezzi che garantisce a Mosca 3,7 miliardi l’anno), il price cap sui prezzi energetici, il congelamento dei beni pubblici (300 miliardi di dollari di riserve valutarie) e privati all’estero, la stretta sui sistemi di pagamento e intermediari finanziari(Swift), messe in campo per frenare l’economia russa e ostacolare la capacità del paese di proseguire l’aggressione, a distanza di due anni hanno fallito.

L’economia russa si è dimostrata molto più resistente del previsto.

Nel 2023 il PIL russo è cresciuto del 3%, e la previsione per il 2024 è del +2,6%. La Borsa di Mosca ha guadagnato il 27% rispetto a due anni fa, il cambio del rublo ha recuperato le perdite subite, tornando ai livelli del 2021. Inoltre le banche russe l’anno scorso hanno fatto profitti per 37 miliardi di dollari, 16 volte quelli dell’anno precedente.

I buoni dati economici, insieme alla propaganda di Putin che è riuscita a descrivere la guerra come una necessità esistenziale, contribuiscono peraltro ad un gradimento per Putin pari all’85%.

La Russia, dopo un primo momento di shock, si è ripresa: insieme ai suoi partner ha saputo aggirare le sanzioni, se pensiamo a Turchia e a Paesi dell’ex blocco sovietico, come Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirgizistan che, importano merci da paesi che adottano la politica sanzionatoria, e poi le riesportano in Russia; riconvertire l’economia in una economia di guerra e a spingere soprattutto l’interscambio commerciale tra Cina e Russia che è stato di 240 miliardi di dollari, in aumento del 26,3 % sull’anno precedente. A seguire gli scambi in valuta, con la yuan cinese che sta sostituendo il dollaro. Senza escludere gli scambi commerciali con l’India, che acquista dalla Russia, oltre a petrolio e gas, anche il 70% delle sue armi.

Il commercio con l’Europa è diminuito di circa il 65% dopo le sanzioni occidentali.
Toyota e VW, un tempo popolari, sono scomparse dalle catene di montaggio delle auto. L’anno scorso, le auto cinesi costituivano sei dei primi 10 marchi automobilistici in Russia. 

La disoccupazione è diminuita.
E più di due terzi dei russi affermano che il loro benessere economico è uguale o migliore.

Ma anche l’inflazione è aumentata.

E il mercato è ancora squilibrato in alcuni settori, con carenze di alcuni medicinali, ad esempio, e drastiche riduzioni della produzione di automobili.

Se i prezzi del petrolio crollano, la Russia si troverà in difficoltà. Se le spese folli militari finiscono, tutte le scommesse sono chiuse. La Russia può sostenere la guerra in Ucraina per il prossimo futuro, ma il suo futuro economico a lungo termine è in dubbio.

L’Occidente non è riuscita a isolare sul piano internazionale la Russia. Nella risoluzione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina approvata all’Assemblea dell’ONU, del 2 marzo 2022, su 193 paesi membri, 141 hanno votato a favore, cinque i contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord, Siria) e 35 gli astenuti, tra cui Cina e India. Se è vero che la maggior parte dei paesi in Europa e gli Stati Uniti hanno subito condannato l’ invasione russa dell’Ucraina, il quadro sembra un po’ più sfumato in Asia e Africa. Prendiamo ad esempio 17 stati africani che si sono astenuti. In effetti hanno dei motivi ben precisi: la Russia li ha sempre finanziati, sia all’epoca dell’Unione Sovietica durante il loro processo di indipendenza e sia ora da parte di Putin, che considerano “grande amico”, che gli vende, tra l’altro, cereali, fertilizzanti, armi e gli fornisce anche mercenari. La loro posizione di neutralità è fatta per appoggiare in silenzio la Russia salvaguardando i propri interessi. Non dimenticano facilmente l’intervento a guida NATO in Libia nel 2011, l’Invasione USA in Iraq nel 2003 motivata dalla presenza di armi di distruzione di massa, mai trovate, solo per citare alcune vicende che hanno incrinato la fiducia verso l’Occidente e dal quale si sentono trascurati.

In ogni caso dopo questa risoluzione di condanna si sono succedute anche altre e il voto espresso all’Assemblea dell’ONU, salvo qualche lieve cambiamento, è rimasto immutato. Volendo fare una analisi globale si può dire che: in base al PIL globale, abbiamo circa il 47% che è contro Mosca. Ma se si considera la popolazione, circa il 65% del mondo è neutrale o a favore della Russia.

L’unica consolazione delle maggiori cancellerie occidentali è quella che la Russia pagherà la sua aggressione con una maggiore dipendenza da Pechino, anche se a Mosca il timore della vassallizzazione cinese non è evidente.

Gli aiuti economici

Secondo il Kiel Institute di Berlino, gli aiuti occidentali al 15 gennaio 2024, sono di 252 miliardi di cui 85 miliardi di dollari targati UE (di cui 77 in aiuti finanziari e 5,6 in aiuti militari), 67 miliardi dagli Usa (di cui 42 in forniture militari). La Germania con 17 miliardi è il Paese con l’impegno militare più rilevante dopo gli Stati Uniti.

L’impatto internazionale

Secondo la Bce, l’inflazione complessiva dell’Eurozona è passata dal 2,6% del 2021 all’8,4 del 2022 al 5,6 del 2023.

Le spese militari e l’allargamento della NATO

La guerra ha generato una corsa al riarmo tanto che nel 2022 la spesa militare mondiale ha raggiunto il livello record di 2,2 trilioni di dollari. La NATO si è allargata con l’ingresso prima della Finlandia e il 7 marzo 2024 della Svezia che rappresenta il 32esimo membro dell’Alleanza militare transatlantica.

Stallo sul campo di battaglia e nessuna pace all’orizzonte

Attualmente sul campo di battaglia dove ci sono – secondo il capo dell’intelligence militare ucraina, tenente gen. Kyrylo Budanov – 510.000 militari russi in Ucraina e dintorni e 600.000 soldati ucraini in servizio, c’è una sostanziale situazione di stallo.

La prospettiva di una fine dei combattimenti sembra improbabile. L’Ucraina ha una capacità sufficiente a difendersi ma non a contrattaccare, e secondo esperti militari occidentali starebbe prendendo in considerazione l’adozione di una posizione di difesa in profondità, che potrebbe ridurre le perdite dell’Ucraina e il fabbisogno di personale e munizioni.

Per questo Zelensky chiede incessantemente aiuti militari, specie ora che sono stati congelati 60 miliardi di dollari al Congresso americano per volere dei repubblicani di Trump. Un rapporto della Cia, citato dal New York Times, svela l’impossibilità dell’Ucraina di resistere sul campo di battaglia nel lungo periodo se gli USA non riprenderanno a inviare aiuti militari.

Intanto gli aiuti europei da metà dell’anno scorso sono crollati del 90%, calcola il centro studi tedesco Kiel Institute, mentre quelli USA, impegnati ora sul nuovo fronte Israele-Palestina, sono calati del 30%, con all’orizzonte lo spettro della vittoria di Donald Trump alla Casa Bianca, che in diverse occasioni ha espresso la volontà di disimpegnare gli Stati Uniti da questa guerra e guardare alla Cina.

Se gli Stati Uniti continuano a vacillare e l’Europa non è in grado di aumentare in modo massiccio il suo sostegno all’Ucraina in risposta, l’equilibrio di potere penderà chiaramente a favore della Russia quest’anno.

La Russia, che si è trincerata a sud e a est, al punto da resistere all’offensiva ucraina, ha ripreso l’iniziativa sul terreno e in profondità dopo la recente conquista della città di Avdiivka (Ucraina orientale), ma non riesce a rompere il fronte ucraino.
Putin sa che il conflitto si è impantanato, anche se, grazie alle sue riserve umane, le scorte dei materiali, la sua industria bellica che sta espandendo le sue linee di produzione (la spesa militare rispetto all’anno scorso è aumentata di oltre il 60%, ha eclissato la spesa sociale a livello federale per la prima volta nei 32 anni di storia post-sovietica della Russia, e costituisce circa un terzo del bilancio nazionale di quest’anno), la disponibilità dell’industria cinese a fornire componenti e materie prime, e le forniture di armi che gli arrivano dall’estero (Corea del Nord e Iran), può mantenere questa guerra, con i ritmi registrati finora per diversi anni, specie in questo momento storico in cui, paradossalmente, il livello di pressione internazionale (sanzioni, isolamento) si è ridotto, e ora gode di relazioni abbastanza normalizzate in Asia, Medio Oriente, Africa e America Latina.

Inoltre sta combattendo, quella che non ha mai chiamato “guerra”, ma semplicemente operazione militare speciale, soprattutto da volontari reclutati dalla Russia periferica etnica e sociale (come il Caucaso o la Siberia), o da condannati reclutati all’interno di prigioni russe ai quali viene concesso un’amnistia totale della pena dopo sei mesi al fronte,  in quel modo il tasso delle vittime della borghesia è minimo. E allo stesso modo lo sforzo economico durante la guerra rappresenta ancora solo il 6% del PIL, in realtà molto basso per un paese in guerra. Putin preferisce giocare sulla resistenza in modo da non provocare uno shock politico e disordini sociali attraverso la mobilitazione generale (solo il 36% dei russi sostiene un’altra mobilitazione per ricostituire le forze) e la nazionalizzazione dell’economia della difesa.

Allo stesso tempo lo Zar, che dopo la morte di Navalny in una colonia penale russa, non ha più nessuna opposizione, porta avanti la sua guerra d’informazione che prende di mira il dissenso negli USA e in Europa al fine di minare il sostegno all’Ucraina, rendendo più difficile il compito dell’Ucraina sul campo di battaglia e portando l’Occidente a intensificare gli appelli per spingere l’Ucraina a negoziare.

Una negoziazione di pace che Putin rilancia puntualmente, ma solo a condizione che l’Ucraina si arrenda. Gli fa da eco Dmitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, che invita l’Ucraina a: “riconoscere la sconfitta” e arrendersi in maniera “completa e incondizionata”; a Kiev dovrebbero tenersi le elezioni di un parlamento provvisorio del territorio autonomo sotto il controllo delle Nazioni Unite; in futuro Kiev non dovrebbe aderire a nessuna alleanza di tipo militare “senza il consenso della Russia”.

Zelensky, se nei primi mesi di guerra accennava di voler parlare di tregua e di una possibile pace, in occasione del discorso dell’anniversario dell’indipendenza dell’Ucraina (24.08.1991) che si è tenuto il 24 agosto 2022, ha invertito rotta e a chiare lettere ha detto di non volere più la pace ma solo la vittoria con l’obiettivo di riprendere ogni centimetro quadrato di territorio ucraino sotto il controllo militare russo. Questo comprende le oblast’ di Kherson e Zaporizhia nel sud, le regioni di Donetsk e Lugansk nell’est e la penisola di Crimea, che è stata de facto annessa dalla Russia già dal marzo 2014.

La pace, da entrambi le parti, è stata messa in archivio.

Prospettive e Presidenziali russe 2024

La Russia potrebbe pensare di avere il sopravvento: è stata in grado di mobilitare forze e industrie (attraverso la riconversione bellica) e ha avuto un relativo successo nel contrastare le sanzioni. Ma è improbabile che Mosca ottenga vittorie significative nel 2024. 

L’unica possibile sorpresa nel 2024 verrebbe da un improvviso cambiamento politico alla guida della Russia e/o dell’Ucraina, o da una cessazione di tutti gli aiuti all’Ucraina che forse farebbe disperare Kiev per il proseguimento della guerra e Mosca aprirebbe la strada almeno a un armistizio e si accontenterebbe delle sue conquiste.

Per ora il solo dato certo è il risultato plebiscitario – il massimo storico dalle prime elezioni presidenziali dirette in Russia tenutesi nel 1991 -, pari all’87% dei voti (hanno votato il 74,3% dei 112,3 milioni di aventi diritto compresi quelli delle “nuove regioni” della Russia, le quattro ucraina annesse senza il riconoscimento internazionale) della tre giorni (15-17 marzo 2024) delle Presidenziali svolte nell’immenso territorio scandito da 11 fusi orari, che hanno riconfermato al Cremlino Vladimir Putin, 71 anni, fino al 2030.
Risultato, intanto che potrebbe essere replicato nel 2030, quando Putin potrà nuovamente candidarsi per restare fino al 2036, grazie ad una riforma fatta alla Costituzione nel 2020, con il rischio, per il mondo, di un “forever Putinism” che potrebbe sopravvivere ai mandati di Putin stesso.

Inoltre, quella montagna di voti, parte dei quali sono espressi da una nuova generazione ancora più fedele e spregiudicata di quella precedente, servono a Putin per rivendicare lo schiacciante sostegno del popolo russo (difficile giudicare con i candidati dell’opposizione esclusi dalla competizione) al suo regime sempre più autoritario (censura, repressione, violenze) e personalistico, e alla sua invasione dell’Ucraina.

La repressione politica ricorda i giorni cupi dell’Unione Sovietica

  • La repressione di coloro che si oppongono alla guerra è diffusa.
  • Le condanne per tradimento sono quasi triplicate.
  • La guerra ha accelerato la repressione della comunità LGBTQ.
  • Tornano le denunce in stile sovietico, poiché i russi segnalano alle autorità comportamenti “antipatriottici” da parte di concittadini.
  • La libertà di riunione è stata cancellata, con quasi 20.000 russi arrestati per la loro posizione contro la guerra.
  • I giornalisti indipendenti sono stati costretti a fuggire e molti sono stati dichiarati agenti stranieri.
  • Il più noto critico di Putin, Aleksei A. Navalny, è morto dopo anni di trattamenti disumani in prigione.

Putin è pronto a sfruttare il suo nuovo mandato di sei anni per modellare, secondo alcune linee guida (Dio, patria, famiglia tradizionale con la donna ridotta al solo ruolo di procreare) illustrate all’Assemblea federale dello scorso 29 febbraio, la società russa in chiave antioccidentale, per consolidare ulteriormente il suo potere e per portare avanti la guerra in Ucraina. Se finirà il mandato, diventerà il leader russo più longevo dai tempi di Caterina la Grande nel 1700.

 

 

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