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Come Javier Milei, il “Trump della Pampa”, ha sconfitto il peronismo

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L’ultraliberista Javier Milei, neo presidente dell’Argentina, può salvare l’economia al collasso del suo paese?

  • La vittoria di Javier Milei.
  • Chi è Javier Milei ?
  • Giuramento del presidente Javier Milei.
  • La sfida che Milei deve affrontare: l’economia argentina che è in agonia.
  • Le promesse di Milei.
  • Gli ostacoli ai piani di Milei.
  • Come ha fatto il peronismo, il movimento populista più resistente al mondo, a cadere. sotto i colpi di Milei?
  • Il debito dell’Argentina con il FMI: l’elefante nella stanza.

La vittoria di Javier Milei

L’ultraliberista Javier Milei, dal 10 dicembre 2023, è il nuovo presidente dell’Argentina, dopo la clamorosa vittoria alle elezioni presidenziali del 19 novembre 2023. Per la terza economia dell’America Latina, inizia un periodo di incertezza.

L’Argentina ha avuto problemi macroeconomici per decenni, alleviati solo occasionalmente da un aumento dei prezzi delle materie prime che esporta in mezzo mondo, ma sempre sull’orlo della bancarotta. Il problema principale è il debito sovrano. Le ripetute crisi di questo debito e l’incapacità di far fronte ai rimborsi dei prestiti del FMI hanno portato l’Argentina a dichiarare traumatici default nel 2001, nel 2014 e nel 2020, costringendo a ristrutturazioni del debito e a rinegoziazioni per rimborsare prestiti multimiliardari, che ora non è in grado di onorare. Con profondi deficit strutturali e un’inflazione alle stelle del 143%, l’attuale classe dirigente ha dimostrato da tempo la sua totale incapacità di governare efficacemente l’economia.

Il neo presidente, autodefinitosi anarchico-capitalista, che si oppone ai peronisti e ai liberali che sono al potere in Argentina da vent’anni, dopo un deludente secondo posto al primo turno di ottobre, ha battuto al ballottaggio con il 55,65 % dei voti, il ministro dell’economia di centrosinistra Sergio Massa, 51 anni, che ha conquistato solo il 44,35 %. Con una affluenza alta ai seggi del 76,92%, Milei ha surclassato il potente e camaleontico movimento peronista di ben undici punti in tutte le province del Paese sudamericano, che sono afflitte dall’inflazione, tranne tre. Insomma ha spazzato via il governo peronista di Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner che non è riuscito a fermare il declino economico del paese.

La sua vittoria al ballottaggio rappresenta il risultato più forte per la destra argentina da quando il Paese è tornato al regime democratico nel 1983.

Minei ha fatto irruzione nel dibattito politico argentino, dominato dai retaggi decennali di un peronismo contraddistinto da statalismo e inefficienza, da un settore pubblico sovradimensionato, da una società civile sovvenzionata e da una società fortemente mobilitata da potenti sindacati, che controllano importanti settori produttivi del paese.

Con l’Argentina di nuovo nel mezzo di una crisi economica, gli elettori tra cui tantissimi giovani, compresa la Generazione Z argentina, hanno scommesso su Javier Milei, un libertario di estrema destra, che ha attirato paragoni con Donald J. Trump.

Molti analisti politici hanno affermato che il voto a favore di Milei riflette soprattutto la disperazione di molti argentini – arrabbiati per la loro lotta per sbarcare il lunario – che vogliono un cambiamento alla realtà economica e politica che è stata brutta per loro per molto tempo, piuttosto che il sostegno alla sua ideologia.
Il presidente uscente, Alberto Fernández, il cui mandato abbraccia il periodo: 10 dic. 2019- 10 dic. 2023, così come la vicepresidente uscente, Cristina Fernández de Kirchner, pur potendo, non si sono presentati per una rielezione.

I mercati hanno applaudito l’elezione di Milei, con le azioni e le obbligazioni argentine in rialzo sulle borse statunitensi (il mercato argentino era chiuso per festività). Anche senza chiarezza su ciò che può realizzare.

Chi è Javier Milei ?

Il populista di destra Milei, classe 1970, è un novizio della politica tanto che molti analisti lo hanno definito “legislatore matricola”. Infatti ha ottenuto la sua prima carica elettiva solo poco più di due anni fa e il suo partito La Libertad Avanza -LLA (coalizione politica argentina di destra e di estrema destra, di ideologia conservatrice sul piano sociale e culturale e libertaria in economia) ha solo una piccola minoranza di seggi al Congresso.

L’ex calciatore, ex cantante rock e conduttore di talk show, nonché scrittore, economista, docente, si è fatto conoscere da milioni di spettatori, specie dai giovani argentini, sconvolgendo la politica tradizionale, con i suoi video virali su TikTok che si scagliano contro la “casta politica” ed evangelizzano le sue idee di libero mercato. Si presenta come un esperto economista liberale e fa discorsi che abbellisce con alcuni dettagli tecnici per edulcorare il suo profilo di presunto esperto, ed è atterrato come un missile per affrontare la classe politica argentina.
Milei, con il suo stile aggressivo e volgare, e la sua presentazione insolita – afferma di non essersi spazzolato i capelli da anni – sostiene che il problema è “la casta” che ha preso il controllo del governo e del paese per decenni e che solo un estraneo può sloggiare.
Qui ci sono echi del Movimento 5 Stelle in Italia o di Podemos di Pablo Iglesias in Spagna. La sua è una narrazione ispirata a quella di altri leader populisti di estrema destra, come Donald Trump (USA), Bolsonaro (Brasile) e, più recentemente, Kast (Cile). Milei presenta soluzioni semplici e dirette, comprensibili per l’elettorato: spodestare l’establishment e mettere al potere un nuovo leader carismatico, onesto, per salvare il paese dalla rovina e dal comunismo.

Nella sua campagna elettorale a bordo di un furgone Milei ha mostrato una “motosega” per la spesa pubblica, come emblema della politica devastante che attuerà. Ha confessato di essere a un passo dalla conversione all’ebraismo, non ha lesinato critiche a Papa Francesco – l’ex arcivescovo argentino di Buenos Aires Jorge Bergoglio, il primo pontefice sudamericano – che ha bollato come un pericoloso comunista, ha insultato il presidente brasiliano Lula da Silva, ha detto che non vuole avere niente a che fare con i cinesi, che il peso argentino “fa schifo” e che si fida solo di sua sorella e del suo cane.
E ancora, ha detto che il cambiamento climatico è una “menzogna socialista”, avrebbe indetto un referendum per annullare la legge di tre anni fa che legalizzava l’aborto, ha chiesto la creazione di un mercato per la vendita di organi.

L’originalità di Milei è il motivo per cui piace e affascina la Generazione Z argentina. Una generazione che brama l’autenticità. Questi giovani vedono in Milei una persona che non sta fingendo e che dice le cose come stanno, ma anche uno sbocco per la ribellione contro un sistema che, a loro dire, sta facendo molto poco per loro. Secondo un recente sondaggio, oltre il 65 per cento dei giovani elettori afferma che lascerebbe l’Argentina se potesse.

Ora che è presidente, dopo la sua turbolenta campagna elettorale dove i suoi fan portavano motoseghe giocattolo o si passavano dollari falsi stampati con il volto di Milei, è chiamato ad affrontare quella che ha definito la “sfida titanica” di domare l’inflazione a tripla cifra, ridurre il cronico eccesso di spesa pubblica e riportare l’Argentina a una crescita sostenibile. I dati che emergono in Argentina sono allarmanti.

Per quanto riguarda il paragone di Milei, che tanti analisti fanno con Trump, va detto che ci sono delle somiglianze: l’energia, la critica alle élite corrotte, le invettive contro la sinistra, gli attacchi contro i critici e i media, il sostegno dei conservatori sociali e religiosi, e ancora definire il consenso scientifico sul cambiamento climatico un complotto socialista, e persino un’acconciatura indisciplinata che è diventata un meme online. Anche se il parallelo più preoccupante è stato quello delle accuse preventive di frode elettorale da parte di Milei che ha messo in discussione i risultati delle elezioni Usa 2020, quelle brasiliane 2022, senza escludere le stesse elezioni argentine.
Mentre sulla politica economica Milei è molto più un libertario che un mercantilista o un populista alla Trump, una versione più estrema di Barry Goldwater e Paul Ryan piuttosto che un difensore della spesa per i diritti e delle tariffe.

Mentre il movimento peronista che Javier ha sconfitto, è in realtà più economicamente nazionalista e populista, essendo salito all’indomani della crisi finanziaria del 2001 che ha posto fine al più notevole esperimento di economia neoliberista dell’Argentina.

Giuramento del presidente Javier Milei

Milei, un outsider sconosciuto ai più, il 10 dicembre, data in cui la giovane democrazia argentina compiva 40 anni, ha prestato giurato come presidente davanti all’Assemblea legislativa e davanti all’ex presidente Alberto Fernández, e ha tenuto il suo primo discorso di insediamento non al Congresso, in un simbolico ripudio della classe politica argentina (accusata di essere corrotta e di derubare l’argentino medio), ma sulla gradinata antistante il palazzo davanti a migliaia di persone armate di bandiere biancazzurre e magliette della squadra nazionale. Insieme, hanno urlato lo slogan della vittoria “Viva la libertad, carajo!”

La diagnosi di Milei è che, una nazione un tempo gloriosa, come lo era agli inizi del Novecento (pensiamo solo a una delle risorse più importanti, la Pampa, la grande estensione di terreni fertili che permetteva di produrre beni agricoli e alimentari molto desiderati da tutto il mondo, che aveva dato ai governi una miniera d’oro consentendo delle spese pubbliche alte), ha sprecato la sua posizione di leader dell’economia globale, voltando le spalle alle politiche liberali che l’avevano arricchita e abbracciando il “collettivismo”.

Nel suo discorso Milei ha promesso lacrime e sangue. Poiché non ci sono soldi, uno choc economico sarà inevitabile, ma, sul lungo periodo, intravede un futuro radioso: “Inizia una nuova era in Argentina, un’era di pace e prosperità, di crescita e sviluppo” …” Questo è l’ultimo periodo difficile prima di iniziare la ricostruzione dell’Argentina”, ha detto. “Lo shock naturalmente avrà un impatto negativo sull’occupazione, sui salari reali, sul numero dei poveri e degli indigenti. Ci sarà la stagflazione“…”verrà la luce alla fine della strada”. Mieli è consapevole che la sua ricetta ultraliberista farà delle vittime. Privatizzare l’economia e far quadrare i conti lascerà sul lastrico milioni di argentini che vivono di impiego pubblico e di sussidi.

Il discorso di 35 minuti di Milei si è concluso con un appello alla libertà e un ritorno ad abbracciare le idee di libertà: “Proprio come la caduta del muro di Berlino ha segnato la fine di un’era tragica per il mondo, queste elezioni hanno segnato il punto di svolta nella nostra storia. 100 anni di fallimenti non si annullano in un giorno. Ma il cambiamento inizia in un giorno, e oggi è quel giorno


Il discorso integrale di Javier Milei come Presidente dell’Argentina nel giorno del suo insediamento

Cristina Fernández de Kirchner, ex presidente uscente dell’Argentina, la decana dell’estrema sinistra peronista, ha assunto una postura di sfida all’interno del Congresso durante l’inaugurazione, vestita di rosso per distinguersi tra gli abiti scuri intorno a lei. Poi, insultata dalla folla, risponde alzando un dito della mano destra. Esce di scena in modo inglorioso, e finisce un’era.

Finita la cerimonia, Milei accompagnato dalla fedelissima sorella Karina, si è trasferito alla Casa Rosada, il palazzo presidenziale, dove ha ricevuto gli ospiti internazionali, tra cui re Felipe VI di Spagna, il presidente ucraino Volodymir Zelenski, per la prima volta in America Latina, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro e il leader spagnolo di Vox, Santiago Abascal.

La presenza di alcuni politici come Orban, Bolsonaro, Abascal evidenzia come la vittoria di Milei in fondo è una vittoria del movimento globale di estrema destra a cui è stato aggiunto un altro pezzo. Non a caso c’è chi ha definito Milei “l’ultimo aspirante fascista del mondo”.

Mentre, il giorno delle elezioni, Milei, aveva già ricevuto diverse congratulazioni: dall’ex presidente USA Donald Trump che si è detto convinto che Milei renderà l’Argentina di nuovo grande; dal segretario di Stato Usa, Blinken che ha elogiato l’alta affluenza e lo svolgimento pacifico delle elezioni; dal presidente brasiliano Lula De Silva che ha inviato un messaggio di buona fortuna, nonostante sia stato definito in precedenza, dallo stesso Milei, un “un comunista corrotto”; e dal miliardario Elon Musk che ha detto “la prosperità è in vista per l’Argentina”.

La sfida che Milei deve affrontare: l’economia argentina che è in agonia

Di fronte a una delle sue peggiori crisi economiche di una nazione di 46 milioni di abitanti, dove si regista: un’inflazione del 143% e si prevede secondo JP Morgan che raggiungerà il 210% entro la fine dell’anno , la stagnazione, l’assenza di posti di lavoro, con il 40 % della popolazione al di sotto della soglia di povertà (quattro cittadini su 10 vivono in povertà), la miseria, l’insicurezza dovuta ad un aumento della criminalità, il valore della valuta argentina è crollato (nell’aprile 2020, all’inizio della pandemia, 1 dollaro veniva acquistato con 80 pesos, ora occorrono 366,5 pesos), la mancanza di risorse finanziarie, un debito sovrano fuori controllo di quasi 419 miliardi, incluso quello di 45 miliardi di dollari verso il FMI, senza contare la situazione climatica che ha ridotto la produzione nella Pampa, e per di più imperversano noti casi di corruzione politica, Milei, con le sue parole antipolitiche e il suo piano economico radicale, che prevede cambiamenti drastici, hanno trovato un vasto pubblico. Anche se, il paradosso del populismo è che spesso identifica i problemi reali ma cerca di sostituirli con qualcosa di diverso o peggiore. La sfida è immane per evitare una catastrofe che spingerebbe, secondo lo stesso Milei, “la povertà oltre il 90 per cento e l’indigenza oltre il 50 per cento”.

Lo sconfitto Massa, ministro dell’economia da 16 mesi, prometteva una graduale ripresa economica, preservando lo stato sociale.
Javier Milei, il Donald Trump dell’Argentina, che ha fatto irruzione sulla scena politica argentina, ha fatto una serie di proposte estreme che, a suo dire, sono necessarie per rovesciare un’economia e un governo a pezzi.
Ha davanti una grande sfida che nessun presidente argentino è stato in grado di risolvere per decenni: l’economia argentina.

Le promesse di Milei

Milei, si è impegnato a tagliare, in un’economia patologicamente indebitata, innanzitutto la spesa pubblica e le tasse, a liquidare la Banca centrale argentina e a dollarizzare l’economia (durante la campagna elettorale Milei issava gigantesche banconote da 100 dollari con la sua faccia) sostituendo il Pesos argentino, la valuta della nazione, con il Dollaro USA. Così facendo vorrebbe ridurre (per ora sulla carta) l’elevata inflazione e rafforzare la sostenibilità del debito pubblico.
E ancora si è impegnato a: ridurre i regolamenti, privatizzare le industrie statali, ridurre il numero dei ministeri federali a otto da 18, porre fine al CONICET, un’istituzione di scienze sociali con più di 35.000 dipendenti pubblici, passare dal sistema dell’istruzione pubblica a un sistema basato sui voucher e rendere l’assistenza sanitaria pubblica a un sistema basato sulle assicurazioni, di vietare l’aborto, di allentare le norme sulle armi. Tutto questo rispecchia il suo pensiero secondo cui “la società funziona molto meglio senza uno stato che con uno stato”. Insomma una nazione trasformata in un laboratorio per idee economiche radicali che in gran parte non sono state testate altrove.

Le misure previste hanno suscitato il plauso del Fondo Monetario Internazionale (la spada di Damocle per Buenos Aires), a cui l’Argentina deve 45 miliardi di dollari, ma hanno suscitato aspre critiche da parte di alcuni attivisti progressisti allarmati dalle conseguenze sociali che si avranno.

In politica estera, Milei ha promesso di porre fine al commercio con la Cina e il Brasile “comunista”, e di considerare alleati dell’Argentina solo i paesi che intendono combattere contro il socialismo, menzionando spesso gli USA e Israele come esempi.
Pochi mesi fa i paesi BRICS, guidati da Pechino e dalla Russia, avevano annunciato l’ingresso di nuovi Paesi tra cui proprio l’Argentina. Obiettivo, aumentare il peso specifico del blocco di economie antagoniste al G7.
Quando gli è stato chiesto della proposta di ingresso durante la sua campagna elettorale, Milei ha dichiarato: “Non avrò un accordo con i comunisti“. È chiaro che l’Argentina non entrerà a far parte del blocco BRICS, una mossa che era stata precedentemente annunciata dall’amministrazione peronista uscente del paese.

Mentre la Cina ha avvertito Milei che sarebbe un “grave” errore interrompere le relazioni. La Cina è il secondo partner commerciale dell’Argentina e il Brasile è il suo partner principale.
Ma ora con Milei, potrebbe arrivare l’altolà, visto che tra i Brics figura il vicino Brasile, e questo nonostante l’ultima tranche di rimborsi al Fmi è stata pagata in yuan.

Gli ostacoli ai piani di Milei

Di recente Milei ha ammorbidito alcune proposte in seguito alle critiche ricevute. Infatti economisti e analisti ritengono che Milei non ha le condizioni economiche, né il sostegno politico per realizzare un cambiamento così drastico. Alcune su proposte sono impraticabili come la dollarizzazione del paese che intenderebbe fare da un giorno all’altro, semplicemente perché non ci sono riserve per concretizzare un’operazione del genere. Il suo partito, poi, Liberty Advances, detiene solo sette dei 72 seggi del Senato argentino e 38 dei 257 della Camera. Non ha dunque né un partito forte alle spalle, come l’americano Donald Trump, non ha per ora sostegno parlamentare, e per questo dovrà far necessariamente accordi politici, non ha governatori o sindaci. Non ha alcun sostegno sindacale o legami con gli imprenditori.

Per la sua roa map si annuncia una battaglia tutta in salita. Non è escluso che medierà molti di questi accordi con Maurizio Macri, l’ex presidente argentino.

Gli argentini, invece, vedono Milei e le sue promesse una “rivoluzione” per un Paese diverso, un’Argentina migliore rispetto al declino economico e a una serie di scandali di corruzione. A tal punto da perdonargli, tra l’altro, il fatto che ha minimizzato le atrocità della “guerra sporca” della sanguinosa dittatura militare argentina dal 1976 al 1983, che ha portato alla incarcerazione di migliaia di persone, a 2300 omicidi politici e alla scomparsa di 30.000 persone (desaparecidos). Infatti, Milei ha sostenuto, durante un dibattito nazionale, che le persone uccise sotto la dittatura siano di gran lunga inferiore a quella cifra.

E anche per gli argentini più scettici, Mieli, rappresenta una gradita pausa dallo status quo: il peronismo, il movimento politico che ha detenuto la presidenza per 16 degli ultimi 20 anni, istaurando politiche per lo più di sinistra in quel periodo che ha portato il paese dal boom al crollo.

Come ha fatto il peronismo, il movimento populista più resistente al mondo, a cadere sotto i colpi di Milei?

Storicamente, l’astuzia machiavellica dei politici peronisti li ha aiutati a rimanere in carica, nonostante la loro frequente corruzione e cattiva gestione. L’attuale capo del Partito Giustizialista fondato da Juan Domingo ed Eva Perón è Cristina Fernández de Kirchner, la vicepresidente in carica, che incombe sulla politica argentina sin dalla presidenza del defunto marito Nestor (2003-2007). Gli è succeduta, ricoprendo due mandati (2007 -2015). Dopo il crollo finanziario del 2001, i Kirchner hanno presieduto un periodo di boom economico, di ripresa e di spesa redistributiva, alimentando nel mentre anche un culto della personalità che ancora oggi trova seguito in circa un quinto dell’elettorato. Tuttavia, una serie di scandali di corruzione multimiliardari, la fine del boom delle materie prime, e un’accusa credibile di omicidio hanno reso “Cristina”, la figura più odiata della politica argentina.

Nel 2015, il candidato scelto dai peronisti, Daniel Scioli, viene sconfitto alle elezioni presidenziali da Maurizio Macri, e sembrava che dopo 12 anni fosse finita l’era dei Kirchner. Ma i peronisti all’opposizione si sono riorganizzati e nel 2019 riescono a spodestare il presidente uscente Macri, che si era ricandidato, con una vittoria schiacciante al primo turno con il loro candidato peronista Alberto Fernández, in ticket con la stessa Kirchner come candidata vicepresidente. Cristina, se pure tossica per l’elettorato in genere era necessaria per la base. Fu questa la strategia vincente che ha permesso ai peronisti di tornare alla Casa Rosada, complice anche l’incapacità di Macri di affrontare una grave crisi finanziaria iniziata già durante la presidenza Kirchner (nel 2014 in Argentina la recessione era del 2,5% del PIL, il tasso inflazione del 24%, il deficit pubblico era del 6% nel 2015).

Durante il mandato presidenziale, Fernández si è dimostrato però inetto nel gestire l’economia bloccata dai bassi prezzi delle materie prime, e rimane intrappolato in un braccio di ferro interno con il vicepresidente che aveva un maggior peso all’interno del partito.

Il debito dell’Argentina con il FMI: l’elefante nella stanza

Nel 2020, a seguito dello scoppio della pandemia, c’è un default poiché l’aumento della spesa pubblica non consentiva di rimborsare un prestito di 57 miliardi di dollari che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) aveva concesso all’Argentina in cambio di riforme e di tagli di spese, durante la presidenza di Macri,
L’aumento poi, alla fine della pandemia, dei tassi di interesse a più del 5% da parte della Federal Reserve degli Usa, aumento reso necessario per combattere l’inflazione americana, ha avuto un contraccolpo disastroso sul debito argentino denominato in dollari del FMI. Nel frattempo era scoppiata la guerra in Ucraina che, insieme alla pandemia, hanno determinato un aumento generalizzato dei prezzi un po’ in tutto il mondo. Fatto sta che nel 2022 l’inflazione in Argentina sale al 100% e in quello stesso anno Massa veniva nominato ministro dell’economia. Ad aggravare la situazione economica è una delle peggiori siccità nella storia dell’Argentina. Ad agosto corre in soccorso all’Argentina il Qatar che concede un prestito di 775 milioni di dollari per pagare il FMI.

I peronisti con una strategia machiavellica, con l’illusione di poter replicare il risultato del 2019, hanno designato Massa, dopo la nomina a ministro, come candidato presidenziale del peronismo. Con molta probabilità i peronisti hanno puntato sul cavallo sbagliato. Massa è un abile politico che aveva già collaborato in precedenza con Macri e aveva minacciato persino di mandare in galera la Kirchner. Questo per dire che se l’avversario di Milei fosse stato Fernández o qualsiasi altro peronista più vicino a Cristina, il peronismo probabilmente non sarebbe arrivato al ballottaggio.

Milei, pur essendo un devoto della Scuola austriaca di economia, quella per intenderci che ha originato le teorie e i movimenti libertari, è stato respinto dalla rivista Reason (rivista mensile statunitense fondata nel 1968, che promuove idee libertarie in politica ed economia) per aver adottato una linea socialmente conservatrice su questioni come l’aborto e la legalizzazione delle droghe.
Ma la dura realtà per i libertari è che i politici socialmente liberali e fiscalmente conservatori non possono formare coalizioni vincenti.
Milei, spiazzando la destra tradizionale argentina, ha vinto anche grazie al suo abbraccio con il conservatorismo sociale certamente incoerente.

In economia, le idee di Milei sono equivalenti a quelle di altri conservatori latinoamericani, come il brasiliano Bolsonaro e il cileno José Antonio Kast.

Durante la sua campagna elettorale ha avuto l’appoggio anche di chi è più convenzionalmente di destra come l’ex presidente Macri. Molti hanno accusato Macri di aver sabotato addirittura il candidato del suo stesso partito, Bullrich pur di votare e far votare Milei. La stessa Bullrich, il giorno stesso della sua sconfitta al primo turno, ha appoggiato Milei e ha invitato tutti i suoi elettori a votarlo nel ballottaggio.

L’Argentina, contrariamente alla narrativa di Milei, non ha sofferto sotto il giogo del comunismo negli ultimi 70 anni.
I principi del libero mercato sono stati provati e riprovati in Argentina da diversi attori, dalle innumerevoli dittature militari a Macri fino all’amministrazione peronista del presidente Carlos Menem (1989-1999).
Menem ha privatizzato una serie di industrie statali, liberalizzato il commercio internazionale, ridotto l’inflazione e ancorato la valuta nazionale al dollaro. I risultati non sono mancati attraverso un periodo di stabilità, ma le crisi finanziarie asiatica e russa della fine degli anni ’90, hanno indotto gli investitori a ritirare i dollari dall’Argentina, facendo entrare la valuta nazionale in una spirale mortale con il catastrofico crollo del 2001.

La gestione economica dell’Argentina nei decenni è riconducibile non tanto ad uno statalismo prolungato, quanto all’incoerenza e l’irresponsabilità fiscale dei responsabili. Le insidie della governance argentina, sia quando si è trattato di statalismo o di libero mercato, di civili o di militari, sono state sempre l’incapacità di risparmiare nei momenti di abbondanza e perpetrare la scelerata abitudine di contrarre quantità esorbitanti di debito denominato in dollari.

È proprio sul debito che occorre dare chiarimenti.
Il rapporto debito/PIL dell’Argentina era di circa il 51% (di molto inferiore a quello della maggior parte dei Paesi sviluppati che superano il 100%, con il Giappone al doppio) nel 2018, quando Macri ha richiesto il prestito del FMI che l’Argentina sta ancora pagando. A differenza del Giappone, tuttavia, il debito argentino in valuta estera si aggira costantemente intorno al 70% dei suoi obblighi totali, ossia un debito eccessivo in valuta estera. Il pericolo è quello di esporre il Paese a un crollo improvviso e precipitoso in caso di perdita di fiducia da parte degli investitori. Ciò è avvenuto con il presidente Carlos Menem (1989-1999) che non capì il rischio che stava correndo aumentando il debito in valuta estera. Probabilmente legato non tanto ad una mancanza di conoscenze tecniche del suo entourage, ma piuttosto ad un limite della sua visione che è stata a breve termine.

Facendo un esame rapido della recente gestione dell’economia dell’Argentina emergono continui fallimenti basati su una visione a breve termine.

I successori di Menem, Néstor e Cristina Kirchner, hanno favorito l’industria e la crescita economica, riducendo al contempo il debito argentino, controllato l’inflazione e accumulando riserve di valuta estera, ma sempre grazie a politiche a breve-medio termine.
Cristina Kirchner ha lasciato il Paese con un debito record del 26% del PIL nel 2015, da un lato, ma dall’altro, pur di arginare la crisi delle materie prime e sostenere il candidato del suo partito nel 2015, ha esaurito le riserve estere accumulate dal marito.

Mentre il presidente Macri nel 2015 tagliando le tasse con l’illusione di stimolare la crescita economica, si ritrova con un debito triplicato fino a raggiungere il 62% del PIL nel 2019, portando così l’Argentina a rifare il suo errore madornale: l’assunzione di un debito (in valuta estera) ancora maggiore in dollari da parte del FMI.
E così che l’Argentina è arrivata al collasso.

Ora Milei, nella migliore delle ipotesi, potrebbe domare l’inflazione, e tagliare le tasse. Mentre se è davvero intenzionato a tagliare drasticamente la spesa pubblica, questo intervento potrebbe avere una ulteriore contrazione della crescita economica, già in crisi. L’economia potrebbe riprendersi se Milei tagliasse le tasse sulle esportazioni, stimolando così la produzione agricola.

Resterebbe il debito soffocante di 45 miliardi di dollari verso il FMI, il grande vero problema dell’Argentina. Il Paese dovrà continuare a rimborsare il debito, ma sarebbe ostacolato dalla svalutazione del pesos argentino e dalle minori entrate statali dovuta al taglio delle tasse e alla riduzione della crescita economica.

Oggi per l’Argentina c’è una buona notizia: la Fed ha deciso di sospendere la stretta monetaria iniziata a marzo 2022 e quindi lascerà inalterati i tassi di interesse. Anche se un certo sollievo per l’Argentina potrebbe arrivare solo nel 2024, se la Federal Reserve statunitense iniziasse a ridurre i tassi di interesse. Nel frattempo l’Argentina è destinata ancora a soffrire.

Mentre per la proposta della dollarizzazione tanto sbandierata da Milei, sembra che non ci sia alcuna speranza che possa realizzarsi a causa delle basse riserve di dollari del Paese.
Se pure questa dollarizzazione venisse alla luce, è vero che potrebbe porre fine all’inflazione infinita, ma priverebbe il Paese del controllo sulla politica monetaria. Ciò significa che l’Argentina non potrebbe svalutare la sua moneta sovrana per promuovere le esportazioni, e così l’adozione del dollaro spegnerebbe ogni speranza di industrializzazione. Dunque, come dimostra il caso dell’Ecuador, la dollarizzazione non sostituisce la responsabilità fiscale, né la fine dell’indebitamento del FMI.

Per il bene dell’Argentina, in questo grande esperimento anarco-capitalista, dove Milei ha dato al liberalismo radicale un volto esuberante e fresco, tanto amato dalla generazione Z, possiamo sperare che riesca almeno a domare l’iperinflazione.
Mentre per uno sviluppo economico a lungo termine (che sembra essere futuribile), l’Argentina dovrà ancora attendere.

 

 

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